Il male può arrivare anche da noi: così parlò il ‘maestro’ coronavirus

Affermare che questi siano tempi difficili appare quantomeno scontato, ma le difficoltà che stiamo vivendo probabilmente lasceranno un segno indelebile sulla coscienza delle persone che questi tempi li stanno vivendo.

Il coronavirus sembrerebbe essersi diffuso dalle regioni che si trovano in ‘estremo oriente’, definizione che richiama qualcosa di davvero lontano da noi, nonostante oggi sia diventato più facile viaggiare in tutto il mondo.

In una epoca di globalizzazione dei movimenti, non solo di merci ma soprattutto di persone, le conseguenze della pandemia restavano lontane, le immagini che arrivavano dalla Cina sembravano soltanto uscire da un film di fantascienza.

Gli unici timori di chi era lontano da quel paese erano sentiti nelle strade e nei mezzi pubblici, quando si incrociavano i cinesi ‘della porta accanto’, i quali diventavano preda delle nostre paure di diventare parte della loro condizione, nonostante si trattasse di persone che già vivevano nei nostri paesi.

Poi tutto cambiò: il virus era arrivato in Europa aprendo la porta italiana senza bussare e per noi abitanti del vecchio continente iniziava un’esperienza completamente diversi. Da spettatori seduti sulle poltrone del ‘cinema coronavirus’, ci trasformavamo a nostra insaputa in protagonisti del ‘film’.

Il coronavirus era in Italia e dalla penisola, ‘annunciato’ soltanto da quanto stava accadendo i quello che solitamente viene chiamato ‘estremo oriente’, definizione riecheggiante qualcosa di lontano e che probabilmente non arriverà mai a noi.

Il nemico iniziava dunque a trasmettersi anche ad altri paesi europei: a quel punto, gli ‘untori’ eravamo noi, eravamo noi i cinesi, e come con gli asiatici iniziarono alcuni episodi con gli italiani vittime di intolleranza, scacciati per paura che potessimo trasmettere il male.

Ma il male, si sa, non conosce confini. Sbarcato in Italia, iniziò rapidamente a ‘viaggiare’ negli altri paesi, proprio quelle nazioni europee che vedevano il virus come ‘qualcosa di cinese o italiano’, sentendosi al sicuro e pensando che bastasse fermare gli ‘untori’ italiani per essere salvi.

Poi qualcosa cambiò repentinamente. Il numero delle persone positive al COVID-19 aumentava a dismisura in tutti i paesi europei, incurante della carta d’identità.

A quel punto era chiaro: nessuno era al sicuro, nessuno ne era immune. Dal dilagarsi tra le ‘gente comune’, il virus attaccava politici, imprenditori, cantanti, sportivi.

Tra i primi politici a essere trovato positivo in Italia ci fu Nicola Zingaretti, segretario del Partito Democratico, mentre tra i nomi più famosi troviamo Alberto di Monaco, il Presidente brasiliano Jair Bolsonaro, membri dello staff del vice presidente degli Stati Uniti Mike Pence, in Spagna due ministre quali Irene Montero e Carolina Darias, oltre che a due esponenti di Vox (Abascal e Ortega Smith).

Anche il calcio italiano veniva colpito, con il primo nome di Daniele Rugani, difensore della Juventus, a cui si aggiungevano Dybala e Matuidi sempre tra i bianconeri, e Manolo Gabbiadini della Sampdoria.

Proprio dall’attaccante doriano arrivavano alcune parole significative, dopo che era stato scoperto positivo al coronavirus. “Non ci credevo”, raccontava Gabbiadini, “se non avessi fatto il tampone avrei rischiato di contagiare qualcuno”.

Ecco, nessuno crede che il virus possa colpire proprio noi stessi perché “riguarda sempre gli altri”, così è sempre compito di qualcun altro risolvere il problemi, in fondo “cosa posso fare io?”.

In questo momento milioni di persone nel mondo stanno lavorando per combattere il virus: medici, infermieri, lavoratori sanitari e sociali, forze dell’ordine (ndr: mi scuserete se dimentico qualcuno). Dalle terrazze dei paesi colpiti stanno quotidianamente partendo applausi a loro, più che meritati, minimo riconoscimento del lavoro che stanno facendo.

Ma la lotta riguarda soprattutto il restante miliardo di persone a cui è stata chiesta soltanto una cosa: restare a casa. Invece che rischiare la vita in qualche atto eroico, basta ‘non fare niente’, passare il tempo con la propria famiglia, i nostri cani e gatti di compagnia ecc.

Se circa 600 milioni in 22 paesi sono soggetti a ordine di contenimento obbligatori, è il caso dell’Italia, della Spagna e della Francia ad esempio, il resto è soggetto a coprifuoco (Bolivia), quarantena (Azerbaigian e Kazakistan), oppure da appelli non coercitivi a non lasciare le proprie case (è il caso dell’Iran).

Uno scenario da vera guerra mondiale. Un situazione che rappresenta quanto più vicina ad un’esperienza di guerra in cui noi cittadini del mondo occidentale ci siamo trovati nel corso della nostra vita e, auspicabilmente, l’unica della nostra vita.